Analisi. Sanzioni economiche: il diavolo è nei dettagli

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Le sanzioni sono uno strumento di coercizione politica che utilizza la leva economica. Quelle approvate nel 2014 contro Mosca hanno dato pochi risultati perché sono state aggirate. Oggi le misure sono mirate a obiettivi specifici, ma il pericolo resta.

Evoluzione ed efficacia delle sanzioni economiche

Le sanzioni economiche rappresentano importanti strumenti di politica estera che si frappongono tra simboliche azioni politico-diplomatiche (come il ritiro degli ambasciatori e delle delegazioni nazionali) e strumenti molto coercitivi, come il conflitto armato.

Le sanzioni poggiano sulla leva economica per raggiungere obiettivi di natura politica. Come tali, sono meno efficaci rispetto a strumenti più coercitivi e più diretti agli obiettivi politici. Per esempio, le sanzioni si basano su leggi e disposizioni del paese sanzionatore che debbono essere rispettate in primo luogo dagli attori nazionali (imprese o semplici cittadini) per i quali potrebbe non essere economicamente conveniente obbedire e quindi potrebbero adoperarsi per raggirarle.

L’efficacia delle sanzioni come strumento di politica estera va valutata scomponendo la loro azione in due passaggi

Nel primo, occorre valutare se la misura sanzionatoria restrittiva ha effetto sulla specifica attività economica che si vuole colpire. Per esempio, occorre stimare se una sanzione che restringe il commercio internazionale – e quindi la capacità di acquisire o vendere determinati prodotti sui mercati internazionali – effettivamente porta alla riduzione delle importazioni o delle esportazioni del paese sanzionato.

Non è escluso che il paese ricorra a terze parti: le imprese del paese sanzionatore potrebbero continuare ad avere rapporti indiretti con quello sanzionato utilizzando la triangolazione commerciale (pur vigente il divieto di vendere dal paese A al paese B, le imprese di A possono vendere al paese C che poi vende a B). Ciò accade quando le sanzioni chiudono o limitano fortemente canali commerciali o finanziari che risultano determinanti per le imprese nazionali. Occorre però anche interrogarsi sulle ricadute negative delle imprese compliant.

Nel secondo passaggio, anche se la sanzione ha l’effetto economico atteso (per esempio, le importazioni del paese sanzionato diminuiscono come previsto), occorre valutare se vi segue il cambiamento politico nel paese sanzionato, ovvero il raggiungimento dell’obiettivo iniziale. Economisti e scienziati politici si dividono proprio sull’attenzione ai due passaggi. I primi sono più attenti all’efficacia economica e meno a quella politica, i secondi guardano puramente all’efficacia politica, disinteressandosi dell’effetto economico. Se dal punto di vista teorico la convergenza è lontana, dal punto di vista empirico alcuni recenti dataset hanno integrato le categorie economiche e politiche. Il più recente è il Global Sanctions Database, da cui riportiamo alcune conclusioni proprio sull’efficacia delle sanzioni.

Figura 1 – Le sanzioni dal 1950 al 2016
grafico

La figura 1, tratta dal lavoro di Felbermayr et al. (2020), mostra come il numero delle sanzioni imposto in ogni anno sia aumentato nel tempo, anche se non in maniera monotona. L’aumento esponenziale a partire dalla metà degli anni Settanta può essere associato a un cambiamento nell’utilizzo degli strumenti di politica estera che contemplano sempre meno l’opzione bellica, perché più costosa finanziariamente e politicamente, soprattutto dopo l’esperienza della guerra del Vietnam, sostituita con le sanzioni economiche.

Figura 2 – Tipologia delle sanzioni
grafico sanzioni

 

Nel corso del tempo anche la tipologia delle sanzioni è mutata (figura 2). L’importanza relativa di quelle commerciali è via via diminuita passando da tre quarti delle sanzioni negli anni Cinquanta a meno del 20 per cento nel 2016. Sono aumentate le cosiddette sanzioni smart, ovvero quelle classificate come finanziarie e come restrizioni agli spostamenti delle persone (travel sanctions), il cui peso è più del 40 per cento nel 2016. Queste misure sono definite come smart perché sono mirate verso obiettivi specifici in termini di individui, imprese o istituzioni del paese da colpire e non hanno un effetto generalizzato che può toccare indiscriminatamente fasce ampie della popolazione.

Besedes et al. (2021) mostrano che le sanzioni finanziarie sono meno costose anche per il paese sanzionatore. Il loro studio analizza il caso delle imprese tedesche coinvolte nelle sanzioni che la Germania aveva attivato con 23 paesi tra il 2000 e il 2014 e conclude che non si è verificato nessun effetto negativo in termini di vendite e di occupazione.

Quanto sono state efficaci le sanzioni nel passato? La risposta è: molto poco. Tra gli scienziati politici si parla di una percentuale di successo non superiore al 30 per cento. In realtà la figura 3 evidenzia percentuali diverse a seconda dell’obiettivo dichiarato. La restaurazione della democrazia, il cambiamento politico e la fine di una guerra superano il 40 per cento, con una punta superiore al 60 per cento per l’obiettivo collegato alla restaurazione della democrazia.

Figura 3 – Efficacia delle sanzioni
grafico: efficacia delle sanzioni

Le sanzioni contro la Russia e un confronto con il 2014

Dopo l’annessione della Crimea, l’Unione europea reagì con una serie di sanzioni sull’export verso la Russia a luglio del 2014 (Council Regulation (EU) No 833/2014 of 31 July 2014). A questa mossa il Cremlino rispose con controsanzioni sull’import che entrarono in vigore dal mese successivo dello stesso anno (Decree of the President of the Russian Federation dated August 6, 2014 № 560).

In termini di struttura del commercio bilaterale, la Russia è solamente il quinto partner commerciale dell’Ue con meno del 5 per cento del commercio totale europeo, ma lo scambio è dominato da materie prime e combustibili dove la Russia è all’origine del 26 per cento delle importazioni di petrolio dell’Ue e del 40 per cento del gas naturale. Allo stesso tempo, l’Ue è il maggior partner commerciale russo contando per più di un terzo del suo commercio estero, tendenzialmente in macchinari e manufatti.

Similmente alle misure che si discutono e approvano in questi giorni, l’Ue attuò restrizioni sugli spostamenti fisici e congelamenti finanziari di persone specifiche, nonché restrizioni all’accesso ai mercati finanziari, ma in modo molto timido. Le restrizioni sulle esportazioni europee furono concentrate in alcuni settori specifici, mentre la contromisura russa adottò una restrizione più ampia sulle importazioni di beni dai paesi europei.

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L’aver imposto restrizioni commerciali in modo asimmetrico (export per l’Ue e import per la Russia) è importante perché il rispetto delle regole da parte degli attori nazionali è sempre un punto critico. Quando le restrizioni sono sulle esportazioni la compliance è più difficile perché il tentativo di aggirare la misura costosa è più difficilmente individuabile sui beni in uscita. Invece, il controllo sulle importazioni, come nel caso della contromisura russa, è più facile e più efficace trattandosi di beni che devono superare la frontiera in ingresso.

Probabilmente alla ricerca di un effetto più rapido, i pacchetti di misure recenti sono concentrati in campo finanziario e su individui con travel bans e congelamenti di attività (arrivando a quasi 700 individui, secondo le ultime previsioni), mentre non ci sono grandi cambiamenti sulle misure commerciali. Oltre all’esclusione dal sistema Swift delle transazioni internazionali interbancarie, un’altra misura straordinaria è il congelamento delle riserve valutarie all’estero della Banca centrale russa. Si tratta di una limitazione nella conduzione dell’intera politica monetaria del paese. La parte più consistente delle riserve valutarie russe è in euro (oltre il 30 per cento) per una politica di de-dollarizzazione seguita negli ultimi anni. Ma esiste anche porzione consistente in yuan (vicina al 15 per cento) che potrebbe essere congelata solamente con l’adesione della Cina.

L’Ue è anche il maggior investitore in Russia con più di 300 miliardi di euro di investimenti diretti nel 2019, come anche la Russia investe nell’Ue circa 136 miliardi euro. Questi legami potranno creare tensioni nelle applicazioni delle sanzioni, come già si è visto nel valore dei titoli delle banche europee più coinvolte sul territorio russo.

La posta in gioco è molto elevata, molto più che nel 2014, e la solidarietà con l’Ucraina è fuori discussione, ma se le pesanti misure adottate ora non dovessero avere effetti rapidi, non si può escludere che le tentazioni di deviazione si facciano avanti, come per le sanzioni commerciali nel 2014.

Giuseppe De Arcangelis - professore di Economia Internazionale presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche di Sapienza Università di Roma - Tratto da www.lavoce.info, per gentile cortesia



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