Il prossimo 15 ottobre sarà trasferita a San Salvatore Telesino, all'interno della Pinacoteca intitolata al pittore sannita, la mostra promossa dalla Provincia di Benevento e dal Museo Arcos.
Il 6 maggio di vent’anni fa moriva Massimo Rao, artista di origini sannite ma di respiro internazionale. Già il 6 novembre 1996, a solo sei mesi dalla sua morte, il Sannio, con una mostra organizzata da Tonino De Maria nel suo Centro Art’s Events di Torrecuso, a cura di Ferdinando Creta e l’intervento magistrale di Vittorio Sgarbi, tributò all’artista il meritato riconoscimento.
La Provincia di Benevento, in occasione del ventennale della morte, il 13 maggio scorso ha inaugurato negli spazi del Museo Arcos una mostra curata dal direttore artistico del museo Ferdinando Creta e da Francesca Sacchi Tommasi Ferroni con il contributo di Vittorio Sgarbi. La mostra con circa 40 lavori, alcuni inediti, raccolti tra collezionisti, amici e parenti dell’artista, chiusa il 15 settembre nel Museo Arcos e trasferita nella pinacoteca dedicata a Massimo Rao a San Salvatore Telesino, sarà inaugurata sabato 15 ottobre 2016 alle ore 16,00.
L’organizzazione gode del Patrocinio della Regione Campania, della Provincia di Benevento e di dieci Comuni della Valle Telesina a testimonianza del valore artistico del pittore sansalvatorese. All'inaugurazione interverranno le autorità locali, i curatori e rappresentanti del mondo della cultura. Il contributo musicale sarà a cura dell'Orchestra ARS Nova Laurentii e seguirà aperitivo e brindisi beneaugurale.
Vittorio Sgarbi nel Catalogo della mostra allo Studio Steffanoni di Milano nel 1987 scriveva, “A guardarlo si resta stupiti della capacità condivisa soltanto da un altro isolato, Riccardo Tommasi Ferroni, di inventare la citazione, di alludere a qualcosa che pensiamo di conoscere ma che non esiste: Rao è pittore difficile, a-critico nella sua fedeltà all’immagine e alla tecnica tradizionale, pittore che richiede un avvicinamento lento, progressivo per un piacere sottile, intellettuale, eppure non d’élite; con il suo lavoro, evidentemente insieme con altri come Clerici, Annigoni, Ferroni, Donizzetti, De Stefano, ha riaffermato il ritorno alla pittura”.
“La tecnica – scrive ancora Sgarbi – è veloce, la definizione del disegno sicura. Rao ama i panneggi, gli ampi drappi, i turbanti, tutto ciò che è suscettibile di piega. Egli è rinascimentale, barocco, neoclassico e romantico, indifferentemente e sempre con talento”.
Ma Rao è soprattutto il pittore della luna che domina i suoi quadri in modo ossessiva, conturbante. “La luna – come sostiene Rossana Bossaglia – come altro volto delle figure, cioè come maschera; e maschera anche di se, dal momento che l’altra faccia della luna ci è ignota; luna come interlocutrice dolce e infida dei solitari personaggi, sorridente nel suo inespugnabile silenzio. Rao, come egli stesso diceva, ha la necessità di sperimentare, di creare, di percorrere e ricercare con emozionata voluttà «le strade d’accesso alle cose che oltrepassano la realtà» e per questo che le figure che dipinge «non fanno quasi mai nulla di preciso e di riconoscibile, loro semplicemente sono e, stanno soltanto rappresentando e portandosi dietro e addosso, come tutti indistintamente facciamo, la loro vita, così com’è, sotto gli occhi di tutti…».
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