Dieci anni dopo l’introduzione del congedo di paternità resta ancora molto da fare per promuoverne l’utilizzo, in particolare nel Sud Italia. A richiederlo sono più spesso i padri con migliori condizioni di lavoro. E le norme sociali contano ancora.
Il congedo di paternità, che permette ai papà di beneficiare di 10 giorni di congedo per la nascita del figlio, è entrato a pieno regime nell’ordinamento italiano nel 2022, dopo un lungo periodo di sperimentazione incominciato nel 2013 (con l’entrata in vigore della legge n. 92 del 28 giugno 2012). A dieci anni, quindi, dalla sua introduzione ne esaminiamo il tasso di utilizzo (numero di utilizzatori su numero di aventi diritto), cercando di capire come si caratterizzano i papà che scelgono di usarlo rispetto a coloro che ancora non lo fanno.
La probabilità di utilizzo è maggiore tra i padri che lavorano in imprese più grandi, con contratti a tempo indeterminato e a tempo pieno. A parità di queste caratteristiche si rileva un forte differenziale Centro-Nord/Sud (circa 17 punti percentuali), che suggerisce come le norme sociali giochino un ruolo di primo piano nello spiegare la partecipazione dei padri nella cura dei figli.
Per analizzare i fattori che incidono sul tasso di utilizzo del congedo di paternità, sono state utilizzate diverse fonti di dati Inps: i dati su Assegno unico universale per individuare coloro che sono diventati padri dal 2013 al 2021; i dati sui lavoratori dipendenti nel settore privato contenuti negli archivi Uniemenes che ci permettono di capire i padri aventi diritto alla misura (fino al 2022 i dipendenti pubblici erano esclusi); e le informazioni sui percettori del congedo di paternità provenienti dal database “Differenze Accredito”.
Attraverso l’utilizzo di queste fonti dati è stato possibile avere informazioni dettagliate sul congedo di paternità e sul suo tasso di utilizzo. Le prime evidenze in merito sono presentate nella figura 1, in cui si osserva come il take-up del congedo di paternità (tra i dipendenti del settore privato non agricolo) presenta un trend temporale crescente, che passa da un valore del 19,23 per cento nel 2013 a uno del 48,53 per cento nel 2018, attestandosi al 57,60 per cento nel 2021.
Nel corso del tempo la durata del congedo di paternità è aumentata (inizialmente per gli anni 2013-2015 era fissata a un solo giorno, per poi passare a due giorni per gli anni 2016-2017, quattro giorni nel 2018, cinque giorni nel 2019, sette giorni nel 2020 e dieci giorni nel 2021). Tuttavia, è difficile dire, almeno in assenza di analisi specifiche, se l’accresciuto utilizzo del congedo di paternità è dovuto, almeno in parte, al crescere della sua durata o se sia del tutto imputabile a fattori di apprendimento. Quello che è certo è che una misura cosiddetta “obbligatoria” è ancora troppo poco utilizzata.
Figura 1 – Take-up congedo di paternità (valori %)
Per comprendere meglio i fattori che influenzano l’utilizzo del congedo di paternità sono state condotte alcune analisi di regressione in cui la variabile dipendente è la probabilità di usare il congedo di paternità e le variabili esplicative sono le caratteristiche individuali, familiari e lavorative del padre. Dalle analisi emerge che i fattori che più incidono sono di natura sia lavorativa che culturale.
Per quel che riguarda l’influenza delle caratteristiche lavorative, nelle famiglie in cui entrambi i partner svolgono un’attività a tempo pieno o in cui il padre è impiegato a tempo pieno e la madre part-time, la probabilità che il padre usufruisca del congedo è decisamente maggiore rispetto a quelle famiglie in cui i partner svolgono entrambi un’attiva lavorativa part-time (+11 punti percentuali). Quando, invece, il padre è impiegato part-time e la madre full-time la differenza rispetto alle coppie in cui entrambi i partner hanno un impiego part-time è solo di 0,4 punti percentuali, indicando che la condizione che ha maggiore influenza sull’utilizzo del congedo è quella del soggetto titolare del diritto (cioè quella del padre).
Questi risultati sono confermati dalle analisi sull’effetto della condizione di precarietà della posizione lavorativa sull’utilizzo del congedo. Infatti, a parità di altre condizioni, i padri con contratto temporaneo hanno una probabilità di ricorrere al congedo di paternità inferiore (di 5 punti percentuali), mentre una eventuale condizione di precarietà della condizione lavorativa della madre incide molto marginalmente sulla probabilità di utilizzo della misura.
A conferma che il congedo viene utilizzato da padri che godono di condizioni lavorative migliori si riscontra anche che la probabilità di uso aumenta con la dimensione dell’impresa in cui si è occupati (una correlazione positiva si evidenzia anche con la dimensione dell’impresa in cui è occupata la madre). Inoltre, all’aumentare del reddito annuo del padre la probabilità di utilizzo del congedo aumenta, ma l’effetto è piuttosto contenuto: un incremento di 10 mila euro produce un aumento di circa 1 punto percentuale (0,5 punti percentuali per un incremento di 10 mila euro del reddito della madre).
A parità di condizione lavorativa (tipo di contratto, dimensione impresa in cui si è occupati, settore di occupazione) e di caratteristiche individuali e familiari (età madre e padre, mese e anno nascita del figlio, primogenito), i padri residenti nelle regioni del Centro-Nord hanno una probabilità di fruire del congedo di paternità più alta di 18 punti percentuali rispetto a quelli residenti al Sud. Se si considera anche l’area geografica di nascita del padre, i padri nati e residenti al Centro-Nord hanno una maggiore probabilità di fruire del congedo di circa 18 punti percentuali rispetto a coloro che sono nati e risiedono al Sud. Il vantaggio è di circa 17 punti percentuali per coloro che risiedono al Centro-Nord, ma sono nati al Sud e di 3 punti percentuali per coloro che sono nati al Centro-Nord ma risiedono al Sud.
La differenza territoriale è evidente nella figura 2: le province italiane in cui è presente un tasso di utilizzo del congedo più alto (le zone più scure delle mappe) si trovano per lo più nel Nord Italia, mentre le province con un tasso di utilizzo più basso (le zone più chiare delle mappe) si concentrano prevalentemente nel Sud Italia.
Nel 2021, per esempio, le province con valore di take-up più elevato sono state quella di Pordenone (80,71 per cento), quella di Vicenza (78,72 per cento), quella di Treviso (76,80 per cento) e quella di Lecco (76,73 per cento). La marcata differenza Nord-Sud permane anche quando si controlla per le condizioni lavorative, il che indica che per giungere a una più equa ripartizione delle responsabilità familiari è di cruciale importanza un cambiamento culturale.
Resta quindi ancora molto da fare per promuovere la parità di genere nell’utilizzo dei congedi per la nascita di un figlio (in particolare nel Sud Italia). Eppure, numerosi studi dimostrano come il congedo di paternità sia fondamentale nella creazione di legami padre-figlio stabili e duraturi, nel migliorare gli outcome di salute e sviluppo dei bambini e nel promuovere l’uguaglianza di genere sia a casa che nel luogo di lavoro.
Figura 2 – Distribuzione del take-up del congedo di paternità nelle province italiane (%)
Maria De Paola, Daniela Moro - per gentile concessione www.lavoce.info
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